Social asociali

Ci siamo involuti nello scrivere, nel parlare e nell’ esprimere emozioni. Ci siamo convinti che la maggior velocità fosse l’unico ed il migliore dei modi possibili per relazionarci.

di Giulio Garofalo Bentley

Tip, tip, tip-tap, tap… tap-tap, tip. Tup-tic-tic, tac, tic. Tip.
Invio.

Un semplice click e le parole viaggiano in fili invisibili attraverso strade, case, scuole, mari, montagne, città, regioni, stati e continenti. Tra altri milioni di messaggi e scritte, emoji ed immagini, sticker divertenti, video di gattini, canzoni, parole d’amore, risate in stampatello,“ c’è ” senza apostrofo, “ ha ” senza acca e “ po’ ” con l’accento, ma anche poesie, racconti, commenti, like e cuoricini. Tutto con un click.

Milioni di informazioni vengono scambiate attraverso i social network, un’evoluzione dei punti di ritrovo più recenti, ma anche dei più antichi, come le agorà dell’antica Grecia e le caverne dove i primitivi attorno al fuoco disegnavano le scene della loro vita quotidiana con polveri colorate.

Non tutte queste informazioni, però, sono vere. Spesso quello che si vuole raccontare di sé sui social non corrisponde a ciò che si è realmente, ma corrisponde a quello che si vuole che gli altri pensino, o a chi si vorrebbe essere.

Ed ecco profili di gente sorridente, vestita in modo impeccabile, con un ciuffo che buca lo schermo, in una posa costruita a tavolino e con uno sfondo da sogno.

Sui social non si troverà facilmente un ragazzo che mostra il suo telefono vecchissimo, che odia i videogiochi, che studia molto, che ascolta musica classica e a cui non piacciono i Manga.
Perché non va di moda.

Adesso sono tutti fan dei Manga, della musica trap, la scuola bisogna odiarla e passare la vita a giocare sul nuovo IPhone 13 Pro.
Ma magari tra un mese sarà tutto cambiato: si ascolterà solo hard rock, si leggeranno fumetti da collezione degli anni ‘80, saranno tutti accaniti giocatori di Snake sul Nokia 3310.

Siamo schiavi di noi stessi.
Subiamo le nuove mode e fingiamo di apprezzarle per corrispondere agli ideali di persona perfetta che nessuno è, ma che tutti si sforzano di essere.

Ma perché tutta questa follia?
Solo perché qualche sconosciuto metta un like al nostro video? Ora qualcuno ci considera? Esitiamo per un secondo? Acquisiamo valore? Conquistiamo la stima di chi, quando poi ci incontra per la strada, neanche ci saluta?  Diventiamo popolari?

Possiamo scegliere in che modo utilizzare i social, se passare il tempo a cercare ossessivamente di ricevere qualche like, o se utilizzarli in un modo più consapevole e responsabile: vedere se qualcuno la pensa come noi, se a qualcun altro interessa come riciclare gli elastici di una mascherina, o come preparare una torta con la farina di castagne o magari si possono proporre alcune tecniche di studio e di ripasso per le materie scientifiche. Si può fare anche questo, magari non diventando una star dei social, ma tutto ciò potrebbe essere molto utile a qualcuno. Aiuterebbe molte persone ad inquinare di meno, a preparare una torta per il compleanno del fratello o a ripassare per la verifica di matematica.

Io non frequento molti social, ma sicuramente quello che uso di più è WhatsApp, che la maggior parte  delle persone utilizza per chattare.

Chattare: sembra una cosa molto simile al parlare, ma non lo è. Sono sempre parole e frasi quelle che vengono trasmesse, ma in modo diverso.
Chattando non si parla, ma si scrive, e chi scrive non vede la tua faccia.

Chattare è un po’ come parlare, sì, ma senza la faccia. Senza un sopracciglio che si aggrotta, senza una bocca che sorride, senza una lacrima che cade.
Chattare è un po’ come parlare, sì, ma senza la voce. Senza un tono allegro, senza un urlo, senza un sussurro.
Per dare un’idea delle emozioni che si stanno provando, alle parole si aggiunge una qualche emoji. Non basta però, anche perché la maggior parte delle volte tu non stai veramente provando quell’emozione.

Capita mai di lacrimare dal ridere, quando si invia l’emoji corrispondente? Non credo proprio. O di vomitare? O di soffiare dal naso come un bufalo?
Quando si chatta le emozioni sono esasperate o totalmente assenti, ma soprattutto sono le stesse identiche per tutti, non ci sono sfumature.
Ciò causa spesso incomprensioni, perché la vita è fatta di sfumature, mentre quello che si scrive attraverso un emoji, sfumature non ne ha.
Uno stesso messaggio può essere interpretato con tono arrabbiato, gentile, sconfortato o sarcastico e le emozioni vere vanno in tilt quando qualcuno ci manda a quel paese con gli occhi a cuoricino.

E allora arriva la rabbia, si risponde male o si fa un commento negativo; non avere davanti la persona a cui si sta scrivendo rende più cattivi, più ingiusti e meno rispettosi, poiché non si possono vedere le reazioni dell’altra persona e si pensa che il proprio scrivere non danneggi o dispiaccia.

Molte volte si finisce un litigio con lo spegnere il telefono, con l’abbandonare la chat o bloccando il contatto, perché si preferisce evitare di continuare il discorso.
Ma quanto rancore e tensione rimangono dentro!

È molto meglio confrontarsi nella vita reale, quella vera, quella in cui si parla, ma a volte si sta zitti e si sceglie di non dire niente, dove non servono emoji, dove vedi la persona con cui parli e tutte le sue sfumature.

Ma il fatto è che noi non sappiamo più parlare: siamo così abituati a chattare e ad esprimere false emozioni che non ci viene più naturale.
Non ci sappiamo più esprimere.
Rendiamocene conto, per noi ragazzi è sempre più difficile comunicare faccia a faccia.

Una volta esaurite le solite frasi salvagente, ovvero le famose: “Come stai?” “Io bene e tu?”, “Come va a scuola?” ci si ritrova come aggrappati ad un asse di legno galleggiante in mezzo all’oceano, con le onde grandi come case che ti sbatacchiano da una parte all’altra. Il cervello inizia pulsare e a cercare inutilmente nell’enorme biblioteca della memoria qualcosa di utile da dire e impacciatamente si prova a formulare un discorso di senso compiuto appiccicando tra loro un po’ di questo e un po’ di quello, però ti accorgi che questo e quello non si incastrano e l’altro è imbarazzato o interessato più al suo telefono che a te e allora frettolosamente liquidi il discorso con una qualche banale trovata e ti allontani fingendo indifferenza.

Tutto ciò è spaventoso: ci siamo involuti nello scrivere, nel parlare e nell’ esprimere emozioni. Ci siamo convinti che la maggior velocità fosse l’unico ed il migliore dei modi possibili per relazionarci.
Dobbiamo perderci d’animo? Non sappiamo cosa succederà in futuro, se i social prenderanno completamente il sopravvento sostituendo le forme di comunicazione che ci contraddistinguono da sempre, se non saremo più capaci di parlare e se finiremo col comunicare solo con messaggi ed emoji, se ci rinchiuderemo nelle nostre case a fare finta di essere quanto più possibile adeguati ai modelli del momento.
Oppure se, ad un certo punto, ci renderemo conto di ciò che ci stiamo perdendo, ripartiremo da zero, ricominceremo a parlare, a provare le emozioni vere, a riconoscere le facce, senza filtri, senza sfondi, senza pose e senza schermi.
Finalmente liberi e reali.