Mescolanza

Un posto dove lingue di popoli diversi si intrecciano, dove i campanili delle chiese sono sormontati dalle stesse cupole delle moschee islamiche

di Giulio Garofalo Bentley

Sicilia, gennaio 2022

Un passo segue l’altro e ad ogni metro che percorro, le voci solenni della preghiera musulmana iniziano ad avvolgermi e a trascinarmi nell’armonia e nella pace che si può trovare qui, in un labirinto di vicoli decorati da ceramiche smaltate, tra profumi speziati che si fondono con l’odore salato del mare, tra i secoli di storia impressi nei mattoni di tufo giallastro, in un luogo dove le due religioni del cattolicesimo e dell’islamismo convivono pacificamente.
Nel quartiere arabo di Mazara del Vallo, la Kasbah.

Non mi trovo, infatti, in Turchia, in Algeria, o magari in Tunisia, bensì in una piccola città in provincia di Trapani, dove da centinaia di anni si è insediata una grande comunità Islamica.

La Kasbah di Mazara del Vallo è uno dei quartieri più antichi della città, fondato dagli stessi arabi nell’827 d.C., poco dopo il loro approdo in Sicilia. Durante la loro permanenza gli arabi contribuirono allo sviluppo della città, utilizzando la loro inconfondibile arte per impreziosirla.

A cominciare dall’insediamento di questa numerosa comunità le due culture, quella occidentale-europea e quella orientale-araba iniziarono a fondersi, dando luogo ad uno scambio culturale in molti ambiti: quello architettonico e artistico, quello culinario e quello linguistico, come dimostrano molte parole del dialetto siciliano che derivano dall’arabo.

Ad esempio la cassata, il classico dolce siciliano fatto con ricotta e pasta di mandorle, prende il nome dalla parola araba qashata, che letteralmente significa “fatto di formaggio”; la gebbia, una vasca per la conservazione dell’acqua, deriva dalla parola araba jabh, che significa “cisterna”. Mischinu, ovvero “poverino”, dall’arabo miskīn… e tante altre.

Continuo a camminare tra i vicoli tappezzati di piastrelle di ceramica pitturata a mano, stradine strette, labirintiche, illuminate dal sole pomeridiano. Dopo qualche metro mi trovo davanti ad un bivio e, seguendo l’istinto, giro a sinistra. Seguo una fila di mattonelle colorate con un motivo floreale e mi trovo davanti ad una delle tante piazzette senza uscita caratteristiche della Kasbah, progettate per confondere ed intrappolare i nemici durante eventuali inseguimenti.

Ad aspettarmi, però, non trovo un gruppo di soldati arabi che mi hanno teso una trappola, bensì una colonia di gatti rossi e bianchi, intenti a prendere il sole sui muretti piastrellati. Molti gruppi di gatti sono sparsi per le piazzette della Kasbah, tanto che sono considerati i padroni del quartiere.

Il sole inizia a scomparire dietro alle case squadrate, un vento leggero fa ondeggiare le fronde degli alberi carichi di arance, i panni stesi tra un balcone e l’altro si spiegazzano, un giornale accartocciato volteggia nell’aria, per poi adagiarsi a terra qualche metro più in là. La voce alta e possente del muezzin richiama i musulmani alla preghiera pomeridiana: il suono riecheggia nelle stradine, si propaga nei vicoli. Poi, pian piano, si dirada.

Io ritorno sui miei passi, mi dirigo verso il mare, verso casa, un passo segue l’altro e le voci solenni della preghiera musulmana iniziano ad avvolgermi e a trascinarmi nell’armonia e nella pace che che si può trovare qui, nella Kasbah di Mazara del Vallo.

Un posto dove lingue di popoli diversi si intrecciano, dove i campanili delle chiese sono sormontati dalle stesse cupole delle moschee islamiche, dove i pescatori tunisini tirano le reti colme di gamberi assieme a quelli italiani, dove le preghiere islamiche e cattoliche si mescolano nell’aria in un’unica grande voce.