Diario, credo sia ora che ti chiami Caro …

Credo che quest'esperienza ci abbia ricordato qualcosa che in tempo di pace e “normalità” ci eravamo scordati: siamo mortali.

di Leonardo Lawford

Diario,
credo sia ora che ti chiami Caro. Prima non potevo perché ci frequentavamo così poco, tu eri un foglio bianco e io una penna mancante di inchiostro. Ora però, quest’esperienza ci ha reso più intimi, ha fatto conoscere me stesso meglio e di conseguenza anche tu hai assunto un’identità.

È ora che ti chiami Caro perché mi aiuti a superare questi momenti di solitudine sconfinata. Prima le giornate erano colorate da sé, ma ora sono un noioso foglio bianco bisognoso di un po’ di colore.

È ora che ti chiami Caro perché attualmente non posso assegnare quell’aggettivo a molte altre persone. Cari sono i miei genitori che mi stimolano a fare qualcosa durante questo periodo di ozio che fermenta la mia pigrizia. Cari anche perché mi aiutano ad avere una visione più amplia in un cielo che si restringe.

Credo che quest’esperienza ci abbia ricordato qualcosa che in tempo di pace e “normalità” ci eravamo scordati: siamo mortali; la nostra vita è una foglia che fluttua leggera in aria. La foglia fluttua e cade lentamente verso terra, ci impiega di media dai 70 agli 80 anni ma anche un piccolo soffio di vento può farle cambiare direzione e, nelle burrasche peggiori far cadere la foglia a terra in pochissimo tempo. Nel mio caso, fortunatamente, c’è stato solo un piccolo soffio di vento che però mi ha fatto cambiare orizzonte; mi ha rinchiuso in una scatola dove l’unico modo per sopravvivere è pensare di uscire ed esplorare luoghi della mia mente che, nella vita di tutti giorni, frenetica e sempre indaffarata, non si ha tempo di visitare.