Le opere d’arte mica si svegliano. L’idea di museo di Serena Bertolucci.

Serena Bertolucci, la “dogaressa” perché si prende cura del palazzo che fu dei Dogi della Repubblica genovese, è una grande esperta in materia ed amante dell’arte rinascimentale.

di Sebastiano Bertorello, Simone Cerveri, Angela Raggio e Federico Sannino

Non pensavamo che avremmo mai apprezzato il fatto di avere la nausea. Ecco che cosa diremmo ad Escher se lo potessimo incontrare. L’arte di questo artista olandese è… bislacca, nel senso che ancora oggi la mente umana ci mette un po’ ad elaborare i suoi quadri. Per essere più precisi, le opere dell’artista sono come dei “giochi illusionistici”: basta vedere una delle sue creazioni più famose, come “Le scale impossibili” ossia scalinate disposte nelle posizioni più sconcertanti, quasi come se sfidassero la gravità.

Un momento della visita

Intorno ai primi giorni del mese di febbraio, a Palazzo Ducale è stata allestita una mostra dedicata a questo mago dello spazio e delle illusioni rappresentate su tela e noi l’abbiamo visitata accompagnati dalla direttrice Serena Bertolucci, che ci ha raccontato come Escher divenne famoso solo dopo la sua morte per via del rigido e chiuso pensiero comune su come doveva essere l’arte in quel periodo. Come tanti altri pittori e scultori del tempo visitò l’Italia e ne fu ispirato, ma lui era un “animale notturno”, infatti, per ricreare su tela costruzioni o paesaggi reali e rappresentarli nel suo stile creava le sue bozze di notte, per uno scambio di luci ed ombre migliore. Alla mostra erano esposti tutti i lavori più importanti di Escher, e vi si trovavano diversi giochi interattivi per far comprendere meglio (soprattutto ai più piccoli) ciò che l’artista voleva trasmettere.

Un esempio di gioco interattivo è “la stanza storta”, ossia una stanza monocromatica che, vista da una specifica angolazione, rendeva minuscola la persona nel lato destro del luogo e gigante quella sul lato sinistro.

La stanza delle illusioni

Serena Bertolucci, la “dogaressa” perché si prende cura del palazzo che fu dei Dogi della Repubblica genovese, è una grande esperta in materia ed amante dell’arte rinascimentale. Una volta conclusa la visita alla mostra, abbiamo deciso di intervistarla: alcuni di noi le hanno fatto domande sul suo lavoro e alla sua passione per l’arte, mentre altri hanno cercato risposte circa Escher e il suo straordinario talento, ad esempio, è stato chiesto come sarebbero stati i lavori di Escher se fosse vissuto nel 2022 e la nostra guida ha risposto così: “Se Escher fosse vissuto al giorno d’oggi avrebbe fatto dell’arte avanti di cent’anni, proprio come fece nel ’900”.

Un momento dell’intervista

A proposito del suo lavoro le abbiamo chiesto come si sceglie un tema per una mostra: “Prima di creare un’esposizione bisogna pensare al messaggio che si vuole trasmettere e soprattutto bisogna trovare qualcosa che interessi e incuriosisca le persone” è stata la sua risposta. Quanto ci vuole per organizzarla al meglio fino all’allestimento finale? “Per una mostra fatta molto bene serve all’incirca un anno e mezzo senza contare imprevisti”. Quali sono gli aspetti più difficili del suo lavoro? “Non perdere la speranza e crederci pensando alla cultura come valore fondante della nazione – è la risposta – La memoria è il carburante della modernità e il patrimonio culturale fa in modo di non ripetere gli errori del passato. A livello di gestione, invece, mantenere alta l’attenzione del personale facendo sì che tutti ci credano sempre”. Che cosa sognava di fare da piccola? “La comandante di una nave” ha risposto senza esitazione la direttrice, che è nata a Camogli, paese di grandi naviganti. “Poi in prima liceo presi quattro in arte e lo considerai un affronto. Nei giorni seguenti quindi iniziai a studiare approfonditamente arte e me ne innamorai”.

Il suo obiettivo principale, cominciata la carriera di storica dell’arte e curatrice del patrimonio artistico, è stato da subito rendere l’arte accessibile a tutti, giovani e meno giovani: “Perché secondo me rendere comprensibile a tutti il nostro patrimonio culturale è indice di democrazia e di civiltà”. Per farlo spesso Serena affianca all’arte le nuove tecnologie, come le stanze interattive che aiutano a capire come “funziona” un quadro che si possono visitare nella nuova mostra dedicata a Monet, la realtà virtuale o i robot umanoidi che lo scorso anno accoglievano i visitatori di Palazzo Ducale intrattenendoli nei momenti di attesa con informazioni storiche sul palazzo e giochi. Mentre parliamo, nella splendida Cappella del Doge, un gruppo di bambini gioca rumorosamente, rincorrendosi tra le gigantesche sfere argentee omaggio ad Escher, posizionate in modo da riflettere gli affreschi che ricoprono la sala: Serena si interrompe e con un sorriso ferma i genitori che stanno per richiamarli: “Non preoccupatevi, le statue mica si svegliano!” e a noi sembra la sua più chiara dichiarazione d’intenti.

Foto di gruppo