Quando dicevano: “é poco più di un’influenza”

Quali sono le vostre condizioni lavorative? Sono difficili, talvolta drammatiche. Ci troviamo a lavorare in un ambiente dove la malattia é costantemente presente, dove la sofferenza dei pazienti e la loro preoccupazione è tangibile.

di Susanna Fenelli

Intervista a Paola Lavezzoli (mia zia) infermiera di 51 anni in servizio all’ospedale San Martino di Genova.

Dato che l’ospedale in cui lavori è uno dei più importanti di Genova e vedendo questa movimentazione di persone per il COVID-19, quando pensi che finirà questa situazione?
Al momento è davvero difficile fare una previsione, ma ritengo che questa situazione, se riusciamo a controllarla, rispettando le regole civili che ci sono state imposte, potrebbe finire nell’arco di due mesi.

Quali sono le vostre condizioni lavorative?
Sono difficili, talvolta drammatiche. Ci troviamo a lavorare in un ambiente dove la malattia é costantemente presente, dove la sofferenza dei pazienti e la loro preoccupazione è tangibile, con un abbigliamento e delle protezioni che creano difficoltà nei movimenti quotidiani. Riusciamo a malapena a respirare con quelle maschere compresse. La sera quando ci spogliamo vediamo ben chiari i segni sul volto lasciati dai dispositivi di sicurezza e i nostri occhi sono segnati dalla stanchezza. Proviamo tanta preoccupazione, oltre che per i malati anche per noi stessi e per le nostre famiglie rimaste a casa. Ma ne vale la pena perché ogni volta che un paziente è fuori pericolo e guarisce ci dà la conferma che stiamo facendo, seppure con sacrificio, la cosa giusta.

Tra i tuoi pazienti c’è qualcuno che conosci?
Qualcuno è capitato. Ma lo conoscevo solo di vista. Ad ogni modo parlando coi pazienti ed ascoltando le loro storie ti sembra che facciano parte della tua vita.

Il tuo lavoro è rimasto quello di sempre o in te é emerso un valore più umano?
Indubbiamente in questo momento difficile per tutti quanti, sia i pazienti, che i loro familiari e le persone comuni, cresce un sentimento maggiore nei confronti dei malati. Io per lavoro sono abituata ad assistere alle sofferenze altrui, ma ciò che mi rimane difficile al momento è vedere la solitudine dei pazienti che non possono stare a contatto coi propri cari.

La tua vita familiare in questo momento ha subito qualche cambiamento?
Assolutamente si. Io vivo con mia figlia che purtroppo in questo momento è andata a stare con la nonna, per scongiurare un possibile attacco della malattia tra me e lei, e per non lasciarla da sola a casa per tempi troppo lunghi. Spero di tornare al più presto alla normalità.