Cosa mi manca della “vecchia” scuola

Nulla potrà mai rimpiazzare il trovarsi in un ambiente comune e interagire, non imparerò mai quello che avrei imparato se fossi stato faccia a faccia con i prof

di Giulio Garofalo Bentley

Decine e decine di ragazzi con cartelle colorate che si accalcano sulle porte d’ingresso della scuola, fiumi di studenti che chiacchierano sulle rampe di scale, il rumore dei palloni che sbattono e rimbalzano in palestra, il gesso che scrive sulla lavagna, le gomme che quando cancellano fanno traballare il banco, le partite di calcio con un pezzo di carta stagnola durante l’intervallo, il fruscio delle pagine dei libri, le mani alzate in trepidante attesa, le gare per chi deve andare prima in bagno, la prof La Rosa seduta sulla cattedra, la pazienza della prof Cattaneo, i sorrisi nascosti della prof Sangorgio, l’entusiasmo della prof Amato.

E poi.

I commenti simpatici di Matteo, i disegni di Sofia, la mano di Lorenzo che si sistema il ciuffo, il canticchiare di Alessandro, la calma di Giulia, la voce flebile di Valentina, i movimenti plastici di Dennis a motoria, i commenti di Fabio, l’ironia di Ginevra, la strada per l’autobus con Marina, Mohammed che dà brio ai venerdì.

Mi manca tutto questo, della “vecchia scuola”

La prima settimana di quarantena sembrava quasi una vacanza, nessuno credeva che sarebbe mai riuscito a provare nostalgia. Invece eccoci qui ad aspettare, per una volta, che arrivi settembre.

I primi giorni di didattica a distanza erano una novità entusiasmante: professori e compagni di classe entravano, tutti insieme, in casa mia attraverso un dispositivo elettronico e ciò mi ha fatto subito pensare che quella fosse la scuola del futuro e l’unica scuola che si potesse desiderare.

Anche se inizialmente ci sono stati un po’ di intoppi come la caccia al tesoro dei codici, problemi di connessione e incomprensioni sulle app da installare, alla fine, in un paio di settimane, siamo riusciti ad organizzare un nuovo tipo di scuola che, normalmente, avrebbe richiesto anni di preparativi.

Perciò appuntamento alle nove, per quattro ore al giorno, per cinque giorni alla settimana.

E allora si parte con: Buongiorno prof! E via con la lettura di una fiaba, poi angoli opposti al vertice, cellule eucariote e funghi simbionti, let’s make pancakes, la maison e l’escalier, la struttura dei templi greci e la piantina di camera tua, scale musicali, addominali e capriole, grafici a torta, doppi istogrammi e la regione Sicilia, la scomunica di Papa Gregorio VII, la Chanson de Roland, nomi derivati e composti, Socrative, Kahoot, Classroom, Hangout, Google moduli, Quizlet e… arrivederci prof!

La scuola a distanza ci ha fatto il grande regalo di accorciare le distanze.

È l’unico tipo di contatto sociale che possiamo avere e per me è molto importante poter interagire, almeno virtualmente, con compagni e insegnanti.

Se non fosse così le giornate sarebbero monotone e senza scopo.

Però questa non è la scuola del futuro che vorrei.

Nulla potrà mai rimpiazzare il trovarsi in un ambiente comune e interagire, non imparerò mai quello che avrei imparato se fossi stato faccia a faccia con i prof, le amicizie sono bloccate: non saprò mai se avrei fatto altre amicizie in questa classe.

Anche se quella della scuola a distanza era l’unica e la migliore possibilità che potessimo mettere in atto in questo momento, non sarà mai all’altezza della scuola vera.